Il Sole 24 Ore dedica una pagina al tema del DPO intervistando il Presidente di ASSO DPO, Matteo Colombo.
Cliccare qui per leggere l’articolo completo
Il Sole 24 Ore dedica una pagina al tema del DPO intervistando il Presidente di ASSO DPO, Matteo Colombo.
Cliccare qui per leggere l’articolo completo
Qual è la funzione di un DPO?
Quali cambiamenti porta in Europa e in Italia il nuovo Regolamento Privacy (UE)2016/679?
Cosa succederà a partire del 25 maggio 2018?
A queste domande cerca di dare risposta in modo sintetico e chiaro il nuovo libro di Matteo Colombo. Un contributo alla conoscenza del nuovo Regolamento UE con uno speciale approfondimento sulla figura del Data Protection Officer.
Non perdetevelo!
Il libro è disponibile su Amazon in formato Kindle e cartaceo.
Cliccare qui per maggiori informazioni e per acquistarlo
In questo periodo un po’ tutti consigliano cosa portare sotto l’ ⛱ o in ⛰.
Ecco mi sento di consigliare a tutti i Data Protection Officer la lettura di questo libro illuminante su temi quali la genetica, la robotica, i Big data ecc.
Ho avuto il piacere di conoscere l’autore a Washington durante il Global Privacy Summit e ora il libro è disponibile anche in italiano.
Buona lettura a tutti!
Matteo Colombo
Fonte: www.esanitanews.it
Il recente Congresso annuale della AssoDPO, l’Associazione Data Protection Officer, verteva su numerosi argomenti di primo piano della sicurezza dei dati: gli impatti del nuovo regolamento privacy Ue sulle imprese europee ed extra europee anche in ambito sanitario, il ruolo del DPO in Europa, l’accountability e trasferimento dati all’estero, il data breach. Vi è anche stata una tavola rotonda con le principali associazioni continentali per la privacy per confrontarsi con il punto di vista dei DPO degli altri paesi. Abbiamo chiesto a Matteo Colombo, presidente ASSO DPO, di raccontarci i principali nodi tematici emersi nella due giorni milanese.
Avevate numerosi argomenti caldi per la discussione. Come l’avete impostata?
«Verteva sul futuro prossimo, alla luce degli adempimenti richiesti dal nuovo regolamento Ue, e su temi come il data breach e l’accountability. Sono stato recentemente in America al Global Privacy Summit. Tenendo conto che gli Usa sono molto più avanti di noi sulla privacy, gli argomenti che interessano sono stati anche lì la crittografia dei dati, l’analisi dei data breach, la formazione di tutti i soggetti che hanno a che fare con i dati e la governance per la gestione dei dati da parte del Data Protection Officer. AssoDPO nasce per dare strumenti ai professionisti della privacy che si devono ormai muovere su un mercato che non è più solo italiano ma europeo. Teniamo conto che il DPO è il soggetto che si interpone tra il titolare del trattamento e la struttura aziendale. I DPO italiani stanno organizzando il loro lavoro sulla scorta delle esperienze di altri soggetti europei, rimettendo in auge il registro del trattamento, rifacendosi quindi a modelli interni che consentono di tracciare il trattamento, di analizzare e difendere i dati del cittadino e del paziente, lavorando a contatto con il titolare del trattamento medesimo. I DPO hanno a che fare o con case madri estere che stanno cercando di coordinarli oppure lavorano in filiali fuori Italia, quindi stanno cercando di applicare delle policy interne, delle informative comuni, delle regole per il data breach. Stanno mettendo in piedi un processo aziendale anche senza avere ancora il supporto di una norma ISO».
E per quanto riguarda i dati specificamente sanitari?
«Abbiamo fatto un’analisi legata alla digitalizzazione e ai vantaggi e ai rischi che essa ha per il cittadino-paziente. Le aziende sanitarie devono strutturarsi per difendere i dati e il processo dev’essere governato dal DPO. Al congresso è stato fatto un esempio significativo: a Bologna, l’archivio cartaceo delle cartelle sanitarie è di oltre 20 km. di estensione fisica. La sua complessità comporta difficoltà nel reperire le informazioni ma lo rende anche più facilmente difendibile rispetto a un archivio digitale, perché la digitalizzazione in un unico database fa sì che sia più facile che avvengano violazioni dei dati. Il nuovo regolamento introduce il concetto della privacy by default e by design e quindi la necessità, per la gestione dei dossier sanitari, di lavorare molto sulla privacy by design, per far sì che i dati vengano lavorati da alcuni soggetti e non da altri, ad esempio dai medici e non dagli amministrativi. Un altro tema portato in primo piano dal nuovo regolamento è la crittografia dei dati per far sì che, in caso di data breach, l’accesso non autorizzato avvenga su dati non aperti. Le aziende sanitarie devono programmare la criptazione dei dati con un investimento che però è modesto, nell’ordine di poche migliaia di euro».
Vi sono stati nel recente passato casi di accessi non autorizzati ai dati sanitari in aziende pubbliche.
«Il colonnello Marco Menegazzo – comandante del Nucleo Speciale Privacy della Guardia di Finanza – ha detto che in questo primo semestre vengono verificati i dossier delle aziende sanitarie pubbliche e quelle private che trattano dati sanitari. Già adesso le aziende che hanno subito data breach hanno l’obbligo di notificarlo e infatti ho casi di soggetti, che seguo, i quali hanno avuto data breach e che hanno comunicato gli accessi abusivi al sistema all’autorità garante. Il nuovo regolamento, imponendo la crittografia dei dati e l’utilizzo di software che osserva la privacy by design non impone la comunicazione del data breach, perché i dati non sono leggibili. L’investimento sarà bilanciato dal fatto di non dover rendere noto il data breach e viene così meno il problema mediatico di dover avvisare tutti gli interessati, con le conseguenti ricadute d’immagine. Saremo tutti sottoposti a questi investimenti per la sicurezza dei dati. La norma impone misure idonee e ciò comporta un cambio di mentalità: l’atteggiamento deve diventare proattivo».
Avete affrontato anche questioni inerenti la gestione di dati sanitari particolari o in strutture come le Residenze sanitarie assistenziali?
«Un discorso importante è stato quello riguardante i dati sanitari nelle RSA. Hanno dossier sanitari anche se non se ne rendono conto e hanno spesso database di dati leggibili da tutti gli operatori. Quindi dovranno nominare anch’esse un DPO e provvedere alla sicurezza del dossier. È una svolta epocale che richiede investimenti mirati per la difesa del dato. L’autorità garante ha detto che in fase di accertamento il primo quesito che viene posto è sulla governance: chi è il titolare, chi sono i responsabili e chi sono gli incaricati. Occorre un organigramma certo, con ruoli e responsabilità di chi tratta e garantisce la sicurezza. Bisogna capire che la gestione della privacy diventa come quella della sicurezza sul lavoro. Infine, un altro argomento molto interessante su cui è stata posta l’attenzione è il dato genetico e di come in futuro andrà a influire sulle scelte dei cittadini».
Nei giorni scorsi è stato pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro il MODULO UNIFICATO ISTANZA DI AUTORIZZAZIONE ALL’INSTALLAZIONE DI IMPIANTI DI VIDEOSORVEGLIANZA E ALL’INSTALLAZIONE E UTILIZZO DI IMPIANTI E APPARECCHIATURE DI LOCALIZZAZIONE SATELLITARE GPS A BORDO DI MEZZI AZIENDALI ai sensi dell’art. 4 della legge 20 maggio 1970 n. 300 (Statuto dei lavoratori).
Cliccare qui per visualizzare il modulo disponibile sul sito del Ministero del Lavoro
Il modulo, prendendo spunto dalla riforma dell’Art. 4 della L. 300/70 inserita nel Job Act e recepito dall’art. 114 del Testo unico Privacy e dai Provvedimenti dell’Autorità Garante Privacy, innova la prassi ormai consolidata, che vedeva la presenza su tutto il territorio nazionale di modulistica diversa per ogni singola Direzione Territoriale del Lavoro, e propone un unico modulo.
Gli aspetti da segnalare per la Videosorveglianza sono:
A parere di chi scrive, soprattutto la limitatissima durata di conservazione prevista dall’istanza (peraltro indotta dal Provvedimento del Garante sulla Videosorveglianza) e la “bizantina e old retrò” previsione di accesso alle immagini registrate, che non tiene minimamente conto dell’evoluzione tecnologica dei sistemi ormai integrati nelle reti aziendali o in cloud, rende il modulo poco accessibile alle esigenze dei datori di lavoro.
Autore: Matteo Colombo | A.D. di Labor Project e Presidente di ASSO DPO
Fonte: www.lavoro.gov.it
È finalmente stata pubblicata la versione italiana del futuro Regolamento UE sulla Protezione dei Dati (GDPR) | è la versione approvata il 15 dicembre 2015.
Prima della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale europea, che avverrà in primavera, saranno introdotte alcune piccole variazioni “tecniche” e di traduzione.
Il 15 dicembre 2015, è stato raggiunto un accordo in sede di Trilogo sul testo del Regolamento Europeo sul trattamento dei dati personali.
Cliccare qui per leggere il testo del Regolamento
Il Regolamento, agli artt. 35, 36 e 37, ha definito quale dovrà essere il ruolo del Data Protection Officer all’interno delle nostre organizzazioni.
Cliccare qui per leggere la traduzione non ufficiale degli artt. 35, 36 e 37.
Qui di seguito vi forniamo una breve sintesi rispetto a quanto previsto per questa figura:
La designazione del D.P.O. è obbligatoria quando:
Il D.P.O. deve essere designato sulla base dell’approfondita conoscenza della normativa sulla protezione dei dati e sulla capacità di svolgere i compiti di cui all’Articolo 37. Può essere un soggetto interno (ossia un membro dello staff del Data Controller o Processor), oppure un soggetto esterno che assolve i propri compiti sulla base di un contratto di servizi.
Il D.P.O. deve essere correttamente e tempestivamente coinvolto in tutte le tematiche che riguardano la protezione dei dati personali. Il Data Controller o Processor deve fornirgli le risorse necessarie per svolgere i propri compiti, per mantenersi aggiornato, nonché l’accesso ai dati personali e alle operazioni di trattamento. Gli interessati possono contattarlo in merito a tutte le questioni relative al trattamento dei dati nonché per l’esercizio dei propri diritti. Il D.P.O. non deve ricevere alcuna istruzione per quanto riguarda l’esercizio dei propri compiti, non deve venire dimesso o penalizzato in ragione dell’esecuzione delle proprie funzioni, e riferisce direttamente al più alto livello di gestione del Data Controller o Processor. Può svolgere altre attività, purché non siano in conflitto d’interessi. Dev’essere vincolato al segreto o alla riservatezza in merito alla prestazione dei suoi compiti, nel rispetto del diritto dell’Unione o dello Stato membro.
Il D.P.O. deve:
Fonte: www.statewatch.org
Autori: Matteo Colombo e Laura Asnaghi
Oggi, 30 novembre 2015, si è tenuta la Commissione LIBE (Libertà civili, giustizia e affari interni), nel corso della quale gli attori coinvolti hanno sintetizzato lo stato dei lavori relativi al futuro Regolamento Privacy UE.
La negoziazione sul futuro Regolamento dovrebbe terminare nei prossimi due Triloghi, che si terranno uno il 10 dicembre e l’altro il 15 dicembre 2015.
I relatori, tra i quali vi è Jan Philipp Albrecht, hanno riferito che sono stati raggiunti accordi pressoché definitivi sul Capo 1 (Disposizioni Generali), ad eccezione dell’ambito di applicazione, Capo 2 (Principi), Capo 3 (Diritti dell’interessato), Capo 6 (Autorità di Controllo indipendenti), Capo 7 (Cooperazione e Coerenza), Capo 8 (Ricorsi, Responsabilità e Sanzioni), Capo 9 (Disposizioni relative a specifiche situazioni di trattamento dati: stato di salute, rapporti di lavoro, ricerca scientifica) e Capo 10 (Atti delegati).
Mancano, ad oggi, accordi sui seguenti principali istituti:
Si è raggiunto un importante accordo per quanto riguarda l’anonimizzazione dei dati, la portabilità dei dati ed il principio generale dell’approccio basato sul rischio (P.I.A.).
Rimane un tema che, seppur questo Regolamento permetterà un’armonizzazione importante e necessaria per il mercato digitale europeo, vi sono ben 68 casi di apertura alle singole normative statali che potranno derogare al Regolamento (Es. diritto del lavoro, sicurezza pubblica, salute, ecc.).
Il Regolamento sarà approvato all’inizio del 2016 ed avrà efficacia decorsi due anni (inizio 2018).
Autori: Matteo Colombo e Laura Asnaghi
ILLECITO IL REINDIRIZZAMENTO AUTOMATICO DEI MESSAGGI DI POSTA ELETTRONICA DEL DIPENDENTE DOPO LA CESSAZIONE / SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO SU INDIRIZZI DI POSTA ELETTRONICA AZIENDALE DI ALTRI DIPENDENTI.
NECESSARIA L’ADOZIONE DI UN REGOLAMENTO SULL’USO DEGLI STRUMENTI INFORMATICI AZIENDALI
Garante Privacy – Provvedimento n. 456 del 30 luglio 2015
IL CASO
Degli ex dipendenti hanno presentato ricorso al Garante Privacy lamentando che, dopo la cessazione del rapporto di lavoro con la società, gli account di posta elettronica loro assegnati venivano automaticamente reindirizzati a dei dipendenti dell’azienda utente dell’azienda. Inoltre, i ricorrenti hanno lamentato di aver appreso solo in occasione della produzione in un giudizio civile di un significativo numero di e-mail da parte della società, che quest’ultima aveva avuto accesso ai messaggi di posta elettronica dei lavoratori.
LA DECISIONE
Il Garante ha affermato il principio per cui dopo la cessazione del rapporto di lavoro, gli account di posta elettronica riconducibili a persone identificate o identificabili devono essere rimossi tramite disattivazione e contestuale adozione di sistemi automatici volti ad informarne i terzi ed a fornire a questi ultimi indirizzi alternativi riferiti all’attività professionale del titolare del trattamento (e non eventuali account privati riferiti agli ex dipendenti).
Non è conforme alla normativa privacy il reindirizzamento automatico dei messaggi in transito sugli account riferiti a dipendenti il cui rapporto di lavoro sia cessato (o in ipotesi di non meglio precisata “sospensione” del rapporto stesso) su indirizzi di posta elettronica aziendale attribuiti ad altri dipendenti.
In merito all’accesso alle caselle di posta elettronica dei dipendenti da parte del datore di lavoro, il Garante ha, inoltre, ribadito che il datore di lavoro, pur avendo la facoltà di verificare l’esatto adempimento della prestazione lavorativa ed il corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte dei dipendenti, deve in ogni caso salvaguardarne la libertà e la dignità e, in applicazione dei principi di liceità e correttezza dei trattamenti di dati personali, informare in modo chiaro e dettagliato circa le consentite modalità di utilizzo degli strumenti aziendali e l’eventuale effettuazione di controlli anche su base individuale.
L’assenza di un Regolamento / Policy scritta al riguardo può determinare una legittima aspettativa del lavoratore, o di terzi, di confidenzialità rispetto ad alcune forme di comunicazione.
L’informativa ai dipendenti deve riguardare anche le modalità (compresi i tempi) di conservazione dei contenuti e dei file di log relativi alla posta elettronica in transito sugli account aziendali nonché le operazioni di trattamento che possono essere effettuate dall’amministratore di sistema per finalità connesse alla fornitura del servizio.
Fonte: http://garanteprivacy.it
Autore: Matteo Colombo
In questi giorni ho avuto modo di leggere un interessante articolo pubblicato da IAPP (International Association of Privacy Professionals) e di confrontarmi con alcuni colleghi DPO che lavorano a Bruxelles.
La domanda che tutti ci poniamo è:
Alla fine del Trilogo la figura del DPO sarà obbligatoria o solo suggerita ?
Come sapete negli ultimi 3 anni sono state redatte 3 diverse versioni di bozze di Regolamento Privacy UE ed in particolare quelle di: Commissione Europea, Parlamento Europeo e Consiglio d’Europa.
Se inizialmente le bozze di Regolamento della Commissione e del Parlamento parlavano di DPO obbligatorio per una serie di aziende, l’ultima versione del Consiglio d’Europa (CDE) ha rivisto sostanzialmente l’articolo 35 prevedendo la figura del DPO facoltativa ad eccezione di disposizioni specifiche dei singoli Stati membri.
In questi mesi, in sede di Trilogo, la divisione delle parti è rimasta, ma entro fine dicembre 2015 dovranno terminare i lavori e gli Stati arriveranno ad una posizione comune che, sia pure di compromesso, dovrà essere trovata.
I “rumors” dicono che un accordo potrebbe essere trovato rendendo la figura del DPO obbligatoria in due casi:
Numero di persone interessate. Dalle iniziali 5.000 si dovrebbe passare ad una cifra compresa fra 50.000 e 500.000 (quindi grandi DB – si pensi al marketing o alla P.A.);
Tipologia dei dati trattati. Ossia nel caso in cui l’attività principale del Data Controller riguardasse il trattamento di dati speciali (ex dati sensibili e giudiziari) ed in particolare dati sanitari. A ciò si aggiungano i Data Controller che trattano dati finanziari o dati di minori.
13 novembre 2015
Autore: Matteo Colombo